
Finalmente a casa, giornata interminabile ma non importa, nemmeno il dover camminare con i tacchi sui sampietrini potrebbe mettermi di malumore adesso. Pulisco i piedi sullo zerbino davanti alla porta di ingresso, quasi mi spiace rovinare i suoi disegni geometrici. Infilo la chiave nella prima serratura, è quella più alta, vicina alla targa che riporta il numero civico appena sopra al battente in ottone; sono contenta sia stato scelto il leone, è austero come conviene al suo scopo. La seconda chiave è per la serratura più piccola, quella appena sotto alla maniglia; a differenza della prima sono solamente due mandate ed ogni volta che giro la chiave sono felice di aver scelto una laccatura che mi impedisca di creare tanti piccoli cerchi che ne rovinerebbero l’aspetto. Richiudendo la porta dietro di me so che la prima cosa che dovrei fare sarebbe quella di trovare l’interruttore sul muro per accendere la luce ma da quando sono qui mi è servito davvero poche volte.
Al piano terra vive una signora, una brava donna, certo con i suoi pregi e i suoi difetti ma è comunque una donna molto dolce e disponibile che nel suo piccolo cerca di non farmi mai mancare niente. Vive da sola, è rimasta vedova diversi anni fa e, come immagino accada alle donne della sua età che hanno condiviso l’intera vita con lo stesso uomo, non ha mai preso in considerazione l’idea di ricominciare tutto dal principio. Non per questo il suo carattere si è indurito, anzi, probabilmente si impara a convivere con la solitudine e se ne apprezza, di tanto in tanto, l’interruzione se fatta con garbo e discrezione. E’ lei che lascia sempre accesa una abat jour appoggiata su di una vecchia scrivania, forse uno scrittoio, ai piedi delle scale; la luce che emana è calda con piccoli riflessi gialli e rosa per via del paralume di stoffa colorata che ricopre la lampadina. Se non fosse così tardi passerei a salutarla, so che fino a quando non mi sente rientrare tiene sempre l’orecchio teso alla porta ma potrebbe essersi addormentata, la saluterò domattina.
Salgo le scale e mentre lo faccio inizio a togliermi sciarpa e cappotto, adoro quella sensazione di casa che mi accoglie e mi coccola con l’odore del legno ed il profumo del camino acceso; anche la passatoia che scende lungo tutte le scale ha un buon profumo. Nonostante sia qui da quando è stata costruita la casa i suoi decori hanno ancora dei colori molto vivaci e non è per niente logora; evidentemente non è stata calpestata da molte scarpe prima delle mie. Il mio appartamento si trova alla fine delle due rampe di scale, al primo piano; non ci sono altri piani, se non ricordo male credo ci sia una soffitta sopra di me, non ci sono mai stata e la signora del piano terra una volta mi ha detto che ormai non riesce più a salire la scaletta per accedervi.
Prima di arrivare alla mia porta mi tolgo le scarpe, i tacchi potrebbero fare rumore anche camminando in punta di piedi; in quel momento mi rendo, immancabilmente, conto che ho sopravvalutato un’altra volta la mia capacità di tenere in mano le cose. Credo di essermelo ripetuta decine di volte che l’acquisto di un appendiabiti sarebbe di grande aiuto per evitare di trovarmi nella solita impasse… va bene, lo faremo. Entrando in casa mi accorgo che la signora mi ha lasciato sulla piccola credenza che ho nel disimpegno una bottiglia di latte, un pacco di caffe ed una busta, probabilmente arrivata oggi. Il fatto che sia così premurosa nei miei confronti mi fa sorridere e nello stesso tempo mi rassicura; il sapere che c’è una persona che ha delle attenzioni e delle preoccupazioni nei miei confronti mi fa stare bene. Non mi sono mai preoccupata del fatto che possa entrare in casa mentre non ci sono, mi preoccuperei se così non fosse perché potrei immaginare un disagio che assolutamente non vorrei.
Una delle cose che non mi ha mai comprato è il tabacco, che invece io dimentico sistematicamente di prendere; “fumare fa male, e poi per una donna carina come lei non sta nemmeno bene” mi ripete ogni volta che può… “se proprio non riesce a smettere io non voglio essere certo d’aiuto al suo vizio!”, non si preoccupi, tanto ho dimenticato anche oggi di prenderlo.
Sono quasi sicura di sapere chi è il mittente della busta, anche se sul suo retro non c’è scritto niente; mi basta vedere come è stato attaccato il francobollo e la calligrafia con la quale è stato scritto il mio indirizzo. Altra cosa evidente è che sia stata portata a mano visto che manca il timbro dell’ufficio postale… ma adesso non ho voglia di avvelenarmi, per quello c’è sempre tempo. Adesso ho voglia di spogliarmi, di entrare in armonia con quello che mi circonda e di chiudere metaforicamente fuori questa giornata.
Prendo il latte ed il caffe e li porto in cucina, la bottiglia è ancora fresca, non deve essere li da molto. Per il caffe uso un barattolo di latta con la faccia di un orsacchiotto disegnata e sul coperchio due piccole orecchie come maniglie; è una delle tante stupidaggini delle quali mi piace circondarmi. La cucina stessa è molto semplice, o come sostengo “estremamente funzionale”, non mi sono mai considerata una grande cuoca, forse mi è sempre mancata la passione di stare in cucina, ragion per cui l’ho voluta esattamente per quello che mi serve, essenziale; è in legno oliato con una grande cappa che illumina il piano cottura con una bellissima luce naturale.
Essendo una persona che ama molto potersi permettere alcuni “rituali” ho pensato a quanto sarebbe stato bello poter fare colazione su di un’isola bella grande, completamente attrezzata, dove avrei potuto sorseggiare il mio caffe leggendo il giornale del mattino. Buffo perché le rare volte che riesco a non essere in ritardo mi rendo conto che bevo il caffe in piedi perché quell’isola, che non ho mai comprato, è diventata un bellissimo tavolo dove però ci appoggio veramente di tutto; sorrido al fatto che di tanto in tanto la signora, colta da sbigottimento e senso materno, cerca di dare un senso alla mia cucina “ma guarda che caos, ma come fa ad usarlo questo tavolo? E’ pieno di libri, quaderni, ritagli di giornale, ma dove è che mangia? In soggiorno? Eh mi sa di no perché li c’è ancora più disordine che qui!”. Disordine… ma non è disordine, probabilmente abbiamo due concezioni differenti di ordine, ma la posso capire, o meglio posso immaginare che a prima vista sia difficile identificare la gerarchia delle cose ma è il mio modo di essere e così sarà sempre, un perfetto caos ordinato.
Il soggiorno è la stanza che preferisco, è dove passo la maggior parte del tempo, dove leggo, scrivo, penso e a volte mangio. Le librerie non mi basteranno mai, ne ho quattro disposte su due muri e i loro scaffali in legno con il tempo si sono incurvati sopportando il peso dei libri. Adoro leggere, dire però che mi piace leggere di tutto sarebbe una bugia; ho centinaia di libri gialli che mi tengono sveglia, sono i principali colpevoli dei miei ritardi, altrettanti sono i libri di storia, sono loro ad insegnarmi e a raccontarmi ciò che “è stato” quando non c’ero; in rilevante minor numero sono i romanzi che mi rallegrano e mi struggono nello stesso momento anche se, paradossalmente, alla loro chiusura poco mi lasciano dentro.
Poi ho quelle che definisco le mie preferite, le più stimolanti, intriganti, forse le più disarmanti, le letture che tentano di declinare l’animo umano, le sue paure, i suoi punti deboli, le varietà caratteriali, le solitudini, le diverse psicologie, patologie, nevrosi. Non basterebbero migliaia di anni per credere di conoscere un essere umano ma basta un solo secondo per rendersi conto che saremmo presuntuosi solo nel pensare di poterlo fare. Devo ancora capire di cosa ho davvero bisogno questa sera, vorrei leggere, vorrei scrivere, mi piacerebbe anche poter avere un confronto uno scambio di idee che non finisse sempre con un punteggio di tanto a zero a favore della Ginger Pepper che vive dentro di me. Se non fosse davvero così tardi andrei a bere un caffe dalla signora del piano terra, la abbraccerei e la ringrazierei per essere esattamente quella che è. Penso che mi accoccolerò sulla mia poltrona, con il camino che brucia gli ultimi tizzoni di legno e farò quello che mi piace di più; chiudere gli occhi, spegnere il cervello, fare il pieno al cuore e partire per uno dei miei viaggi nello spazio infinito, dove il sentirsi leggeri non è una colpa ed il ritrovarsi una certezza.
Buona notte

Ginger Pepper

